A proposito dell’accettazione: cos’è e come si fa.

Affrontare il dolore emotivo e aprirsi a una vita piena e significativa significa intraprendere un percorso che passa attraverso l’accettazione dell’ansia, dei pensieri negativi e delle sensazioni fisiche che spesso li accompagnano. Questo approccio, per esempio, non mira a eliminare l’ansia, ma a viverla in modo più libero e consapevole. Non si tratta, dunque, di essere “liberi dall’ansia”, ma di essere “liberi con l’ansia”.

Una distinzione fondamentale va fatta sul significato di “accettazione”. Nel linguaggio comune, questo termine è spesso frainteso: viene associato alla rassegnazione, alla passività, alla sensazione di non avere scelta. In realtà, in ambito psicologico – in particolare nell’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), una terapia di terza generazione basata sull’evidenza – accettare significa scegliere di stare in contatto con le proprie esperienze interne, anche quando sono dolorose, senza cercare di evitarle o controllarle a ogni costo. È un atto attivo, intenzionale e orientato ai valori personali.

Per evitare questo fraintendimento, può essere utile utilizzare un termine alternativo: disponibilità. Una disponibilità non a “sentirsi meglio”, ma a “sentire meglio”, cioè a essere pienamente presenti rispetto a ciò che accade dentro di noi. Questo tipo di apertura consapevole rappresenta una delle sei componenti fondamentali del modello ACT.

Qui entra in gioco un altro pilastro centrale: la mindfulness. Intesa come la capacità di portare attenzione, momento per momento, in modo intenzionale e non giudicante, alla propria esperienza interna ed esterna, la mindfulness permette di osservare i propri pensieri e le proprie emozioni senza esserne travolti. In ACT non viene proposta come una tecnica da applicare, ma come un atteggiamento da coltivare nella quotidianità. È grazie a questa presenza consapevole che diventa possibile restare in contatto con l’ansia senza reagire automaticamente, aprendo così uno spazio di libertà tra ciò che sentiamo e le nostre azioni.

La nostra mente, per sua natura, è orientata alla risoluzione dei problemi. È ciò che facciamo ogni giorno nel mondo esterno: se buco una gomma, la cambio; se qualcosa non funziona, cerco una soluzione. È un approccio utile e funzionale nella maggior parte dei casi, ed è parte del motivo per cui la nostra specie ha avuto tanto successo nell’adattarsi e prosperare.

Ma quando applichiamo questo stesso schema al mondo interno – pensieri, emozioni, ricordi, sensazioni – entriamo spesso in un vicolo cieco. Davanti all’ansia, per esempio, la mente ci suggerisce di combatterla, controllarla o eliminarla. Tuttavia, questo tentativo di controllo può diventare esso stesso fonte di sofferenza, cronicizzando il problema.

Un esempio pratico: pensiamo a una persona che evita di parlare in pubblico per paura dell’ansia. Magari rinuncia a occasioni lavorative, a momenti di espressione personale, a contesti sociali significativi. L’evitamento, che inizialmente sembra proteggere, nel lungo periodo limita la vita. Un percorso ACT aiuterebbe questa persona a riconoscere la propria ansia senza cercare di combatterla, a lasciarle spazio con un atteggiamento di disponibilità e apertura, e al tempo stesso a compiere azioni in linea con i propri valori – ad esempio, la crescita professionale o la condivisione di idee – anche in presenza del disagio.

In questo senso, l’obiettivo non è eliminare l’ansia, ma cambiare il nostro rapporto con essa. Accettarla significa non lasciare che ci impedisca di vivere pienamente. È un passo verso una libertà più autentica: quella di scegliere come agire, anche quando la mente ci racconta che dovremmo fermarci.

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