L’Acceptance and Commitment Therapy detta in breve ACT nasce negli Stati Uniti alla fine degli anni ’90 come naturale evoluzione del lavoro di Steven Hayes e collaboratori a partire dalla fine degli anni ’70 sul linguaggio.

Sebbene venga inclusa tra le terapie basate sulla mindfulness (interventi cognitivo comportamentali di terza onda), l’ACT possiede la peculiarità di un modello comprensivo della psicopatologia e dei metodi di cura, al tempo stesso coerente e rigoroso, che la distingue dagli altri interventi della stessa famiglia come l’MBSR, l’MBCT, o la Dialectical Behaviour Therapy molto focalizzati sulle applicazioni cliniche della mindfulness e meno interessate all’elaborazione di un modello teorico di riferimento.

Le radici dell’ACT, infatti, affondano nel comportamentismo e in un modello del linguaggio chiamato Relational Frame Theory (RFT), che solo circostanzialmente incontrano la mindfulness.

Alla base dell’ACT vi è l’idea che la sofferenza nasce quando si tenta di non entrare in contatto con taluni pensieri/emozioni/sensazioni considerati intollerabili. Questo comportamento viene chiamato evitamento esperenziale.

Tale rifiuto genera evitamenti, rinuncie e comportamenti distruttivi. Questa posizione di rifiuto viene chiamata rigidità psicologica.

Al contrario, la salute deriva da una maggiore apertura nei confronti dei propri pensieri/emozioni/sensazioni e dall’impegno in direzione dei propri valori fondamentali. Questa posizione viene chiamata flessibilità psicologica.

Il lavoro del terapeuta è di aiutare il paziente a guadagnare sempre maggiore flessibilità psicologica, abbandonando posizioni inflessibili di rifiuto, rinuncie ed evitamenti.

Gli strumenti per aiutare la persona a dirigersi verso questa transizione consistono fondamentalmente in una maggiore capacità di discriminare le proprie esperienze interiori, imparando a riconoscerle per ciò che sono (i pensieri sono pensieri, le emozioni sono emozioni e le sensazioni sono sensazioni) senza confonderle con una realtà imminente. Questa maggiore discriminazione viene chiamata defusione.

Altri strumenti attengono invece a una maggiore consapevolezza dei propri valori e nell’incoraggiamento a occuparsene in modo più pieno e soddisfacente.

La Relational Frame Theory

Per comprendere l’ACT è necessario gettare uno sguardo alla RFT.

L’RFT è la teoria che supera il modello comportamentista classico di Skinner introducendo il ruolo del linguaggio. Secondo il modello skinneriano, il comportamento viene spiegato da un suo antecedente e dalle sue conseguenze. 

In altri termini, qualsiasi comportamento è in funzione di ciò che ne consegue. Semplificando si potrebbe dire che ogni comportamento si spiega assumendo che la sua conseguenza è il suo scopo. L’antecedente svolge la funzione di segnalare che ci si trova in uno specifico contesto in cui è possibile attendersi la conseguenza desiderata se si svolge un certo comportamento.

Ad esempio, se incontro un mio amico per strada (antecedente) e lo saluto, posso attendermi che mi saluti a sua volta contento di vedermi (conseguenza). Il saluto del mio amico contento è la conseguenza attesa del mio comportamento che mi viene segnalata dal vederlo per strada.

Allo stesso modo, un comportamento disfuzionale viene appreso perché ad esso seguono delle conseguenze attese, ma queste conseguenze immediate attese, hanno la proprietà di produrre nel lungo termine disfunzioni e disagio. Ad esempio, se sono in ansia all’idea di allontanarmi da casa, e dunque evito di prendere l’auto, la conseguenza attesa è l’abbassamento dell’ansia. Tuttavia nel lungo termine il comportamento di evitamento produce una forte limitazione della mia libertà di movimento e quindi una significativa limitazione della mia vita con conseguente disagio. 

Questo semplice schema che deriva dal condizionamento operante è stato la base degli interventi terapeutici comportamentali miranti a modificare gli antecedenti e le conseguenze per modificare il comportamento.

Tuttavia, non è difficile evidenziarne i limiti.

Ad esempio lo schema classico non spiega comportamenti che nascono in contesti non necessariamente correlati con esperienze precedenti, e non spiega la reiterazione di comportamenti senza le conseguenze desiderate.

Già Skinner aveva evidenziato questi limiti e aveva introdotto il concetto di comportamenti governati da regole, cioè comportamenti che non sono governati da esperienze dirette precedenti, ma da regole interne che interpretano l’antecedente e si attendono delle conseguenze anche se non sono mai state sperimentate in precedenza.

La RFT approfondisce ed estende il concetto di comportamento governato da regole assumendo la funzione del linguaggio che consente di creare delle relazioni tra ciò che viene sperimentato e un frame relazionale di riferimento. Ad esempio, sebbene non abbia mai sperimentato di svenire quando mi sento in ansia, se il mio frame di riferimento è che “certe sensazioni precedono lo svenimento”, posso sviluppare una grave apprensione quando avverto quelle sensazioni.

Non sfuggirà al lettore la vicinanza di questo concetto con l’idea di convinzione disfunzionale del cognitivismo.

Tuttavia, nell’ambito della Relational Frame Theory, le relazioni sono arbitrarie e poco suscettibili alla critica razionale. Ciò significa che è inutile tentare di sostituire questi significati con altri considerati più funzionali, in quanto un significato tende a persistere a dispetto della sua “illogicità” o del suo “irrealismo”.

Secondo la RFT i significati sono arbitrari e seguono la legge della derivazione di relazioni, non quella del ragionamento consequenziale.

Gran parte del lavoro del terapeuta consiste dunque nel mettere in evidenza la natura linguistica e arbitraria delle proprie regole, grazie a esercizi esperenziali, tecniche di defusione, utilizzazione di metafore, e l’invito costante al contatto con la propria esperienza interiore.

La mindfulness

L’ACT non nasce come terapia basata sulla mindfulness, tuttavia incontra la mindfulness e il suo incontro con la mindfulness è straordinariamente coerente e fruttuoso.

La mindfulness intesa come meditazione di consapevolezza non viene necessariamente utilizzata e prescritta come strumento terapeutico in se stesso, ma tutti gli esercizi di defusione e esperenziali adoperati nell’ACT possono essere considerati come esercizi di mindfulness in senso stretto.

Secondo la definizione che ne ha dato Jon Kabat-Zinn, la mindfulness consiste nel prestare attenzione, deliberatamente, al momento presente con un atteggiamento non giudicante. Ebbene, nell’ACT si utilizzano quasi costantemente l’invito e specifici esercizi che aiutino le persone a entrare in contatto con la propria esperienza di pensieri/emozioni/sensazioni per ciò che è nel momento in cui è.

Si potrebbe concludere che l’ACT utilizza massivamente la mindfulness in modo informale, cioè fa della mindfulness una parte integrante degli interventi dell’ACT.

Alcuni autori, come Russ Harris, sostengono che la mindfulness è un polo dell’ACT, quello che si occupa di favorire l’accettazione per superare l’evitamento esperenziale e che si occupa della defusione per superare la tendenza a confondersi con la propria narrazione. L’altro polo è il lavoro sui valori. Non a caso, nel nome stesso Acceptance and Commitment Therapy sono presenti i due aspetti dell’accettazione (mindfulness) e del committment o impegno (lavoro sui valori).

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